Prefazione
Spesso ci sono argomenti di cui è molto difficile parlare, perché si ha una grande responsabilità nei confronti del soggetto di cui si parla e l’articolo che vi apprestate a leggere è uno di questi.
Se si cercassero su internet informazioni riguardo agli hacker e tutto quello che vi orbita intorno, si troverebbero tonnellate di elementi. Articoli (più o meno dettagliati), libri, film, podcast, e chi più ne ha e più ne metta! Buoni, brutti, cattivi, col cappello e senza, chi con la bandiera del JollyRoger e chi con la bandiera con il simbolo del dollaro. Ma raramente qualcuno ha provato a rispondere alla domanda: “Ma cosa scatta nella mente di un hacker e lo spinge ad emergere?”.
Con questo articolo provo a dare una risposta sincera a questa domanda. Un identikit che potrebbe nascere da una chiacchierata tra amici in una sera d’estate davanti a una birra.
Dannati ragazzini, sono tutti uguali!
Iniziava così The Mentor il suo “manifesto hacker” [Wikipedia: Manifesto hacker]. Era una chiara allusione alla cultura di massa nei confronti di una categoria poco conosciuta all’epoca, quasi mitologica. Non che oggi, 2023, siano cambiate molto le cose. Anzi, è aumentata ancora di più la confusione e la maggior parte dei media con le loro notizie “un tanto al kilo” fatte solo per generare traffico non aiutano di certo.
Ogni volta che si parla di hacker, spesso in modo improprio, è come se si parlasse in modo asettico di numeri in una lista. Ma dietro quel nome, o quel nickname, c’è una persona in carne ed ossa, con una storia e un vissuto. E di questo vorrei cercare di parlare, per cercare di ridare un contesto e una dignità a una persona spesso etichettata banalmente come un criminale.
Curiosity killed the cat
“Curiosity killed the cat, and satisfaction brought it back”
“Metterci le mani su” è l’imperativo
Che poi parliamoci chiaro, la curiosità è il motore che ha spinto l’evoluzione per millenni!
Questo chiaramente non significa che sia la strada più sicura da seguire, potrebbe essere pericolosa, spesso letale. Prendiamo per esempio la storia di Adamo ed Eva: stavano nel giardino dell’Eden, tranquilli e beati a cazzeggiare tutto il giorno. L’unica cosa che non potevano fare era, guarda caso, mangiare i frutti dell’albero della conoscenza che Dio aveva piantato. Poi un giorno arriva un serpente brutto e cattivo che li convince a coglierne i frutti e loro, povere anime innocenti, assecondano la sua volontà e Dio, dopo essersi strappato la barba dalla furia, li sbatte sulla terra condannandoli a dolori e sofferenze per l’eternità perché hanno osato disobbedire.
Ecco, io penso invece che il serpente era la curiosità, che Adamo ed Eva non erano degli sprovveduti che si lasciavano incantare, e anzi, la curiosità li ha solo risvegliati dal torpore del non fare niente tutto il giorno e accesi dal desiderio di scoperta hanno deciso volontariamente di trasgredire le regole accettandone le conseguenze. Per me, erano dei fottuti hacker primordiali!
Parecchi secoli più tardi anche un tizio di Pisa, un certo Galileo, rischiò grosso a causa della sua curiosità e alla sete di conoscenza. Si mise in testa che secondo lui, non era il sole a girare intorno alla Terra ma il contrario. E ne era così convinto che si costruì pure un telescopio per verificarlo. Si costruì un mezzo da zero. Ricordate la storia del cacciavite di cui parlavo prima? Ecco, questa voglia di conoscenza e di capire come funziona l’universo però gli costò caro e non finì a fare compagnia alle patate arrosto per un pelo.
Bellissimo fu anche l’aneddoto raccontato nel libro “Hackers” di Steven Levy (consigliatissimo!) dove raccontava le vicende dei primi hacker del MIT. Al tempo i computer a disposizione erano grossi quanto un’intera stanza e per aggiungere delle funzionalità ai programmi bisognava fare letteralmente delle modifiche all’hardware. Ma dato che questi computer costavano quanto una casa in centro a Milano, l’accesso era limitato e contingentato. Quindi come fare? Semplice, agivano di notte quando i controlli erano minori.
Questo chiaramente fece infuriare la direzione che cercò di bloccarli in tutti i modi, soprattutto mettendo sotto chiave l’hardware, ma fallì miseramente, perché gli hacker erano sempre un passo avanti a loro e riuscivano sempre ad aprire le serrature. Questa escalation andò avanti per un pò di tempo, finché la direzione non dovette arrendersi e stringere un patto con loro dandogli libero accesso, salvo però il mantenere la segretezza della notizia per “evitare figuracce”.
Ma in tutto questo la parte più divertente fu la considerazione degli hacker riguardo a questa vicenda:
“Avere una serratura chiusa a chiave era come un invito ad aprirla” (e come biasimarli?)